Quanto ci costa il gratis?


Gratuità e immediatezza sono le parole chiave del futuro, o meglio, del nostro presente. Lo sono diventate dopo una rivoluzione tecnologica di cui non abbiamo percepito il reale carattere rivoluzionario. Siamo nati già quasi immersi nella rete della modernità, non abbiamo contezza di come la società sia stata plasmata, nello spazio di una generazione, dalla tecnologica e dal digitale e dalla rete.  Interagiamo in modo costante con Internet, di conseguenza con un nuovo tipo di economia, l'economia del gratis: se vogliamo ascoltare musica Internet ci offre numerosissimi modi per farlo gratis, se desideriamo vedere un film qualsiasi computer o smartphone con una connessione ad internet ci offre l'opportunità di vederlo gratis, per qualsiasi dubbio o per rispondere a qualsiasi quesito possiamo consultare la rete, per leggere un libro possiamo scaricarlo gratuitamente da Internet, allo stesso modo possiamo sfruttare programmi, applicazioni, software che risulterebbero invece molto costosi se acquistati. E' il nostro modo di vivere, sono azioni consuete. Forse, però, sarebbe opportuno chiedersi se questa gratuità tecnologica abbia veramente un costo prossimo allo zero, se non ci sia realmente nessun prezzo da pagare. Sono gli interrogativi che si pone Francesco Borgonovo, sulle colonne della Verità, nel suo articolo “La voglia di avere tutto gratis costa carissimo”, laddove scrive che, probabilmente, << i lati oscuri della gratuità tecnologica sono tanti>>. Cerchiamo di rintracciare la vera ragione del fenomeno della gratuità: il raggiungimento del monopolio, l'affiliazione; è illuminante in tal senso la battuta di Bill Gates citata da Walter Siti nel suo “Pagare e non pagare”, riportata da Borgonovo nell'articolo sopracitato: << Quando ha saputo che in Cina piratavano il suo software, non ha intentato azioni legali e ha commentato con filosofia “vogliamo che rubino i nostri prodotti, non quelli degli altri" >>.  Il senso ultimo dell'offerta gratuita è la creazione di un rapporto di dipendenza, un modo straordinariamente efficace per diventare indispensabili. L'ascolto di un album musicale, la lettura di un libro, la visione di un film in modo gratuito sono possibilità che ci vengono concesse, come tali possono essere anche revocate, senza che chi ne usufruisce possa muovere critiche o avanzare pretese in merito, essendo solo un fruitore di un servizio che non paga. Non possiede materialmente il libro che ha letto, ma non acquistato, o il cd da cui ascoltare la musica, non ha pagato materialmente il biglietto del cinema. << La rivoluzione digitale, dopo tutto, si fa strada grazie alla comodità. Ci sgrava da compiti difficili e noiosi (…) Ci regala possibilità che nemmeno abbiamo chiesto >> prosegue Borgonuovo, e di fatto per leggere un libro, sempre a titolo di esempio tra tanti altri, non dobbiamo necessariamente acquistarlo, mettere faticosamente da parte i soldi, guadagnarli con il nostro lavoro, possiamo leggerlo immediatamente appena ne abbiamo desiderio. Senza ombra di dubbio ciò toglie valore ai nostri sforzi e al nostro impegno, ci abitua ad una infantile estraneità al possesso. Solo il tempo svelerà se questa nuova logica della gratuità tecnologica nasconde dei lati perversi o semplicemente distende e migliora la nostra quotidianità, sicuramente, però, rivela tutta la sua pericolosità nel rapporto con la cultura. Che il sapere, ma anche la professionalità, siano un patrimonio di conoscenze a cui faticosamente e lentamente si accede nel corso della vita è un dato da cui non si può prescindere; non può esserci niente di immediato, di facile. L'opportunità dell'immediatezza, offerta dalla rete, può darci risposte strumentali ad una necessità contingente ma non può andare oltre, affidare la ricerca delle risposte alle nostre domande alla superficialità della rete vuol dire esternalizzare il nostro patrimonio di conoscenze, non acquisirlo e farlo proprio. Torniamo all'idea del possesso. Ci spossessiamo del sapere illudendoci di poterlo recuperare, quando vogliamo, su chissà quale fonte tecnologica. Ma abituandoci a ricorrere alla rete il sapere si trasforma anch'esso in un servizio che ci viene offerto gratuitamente, non più un patrimonio acquisito e intrinsecamente nostro,  un servizio a noi estraneo. << Tutto è più facile ma anche più controllato, direzionato, L’ho visto con i miei occhi, avendo insegnato a lungo in università. I ragazzi si abituano a fare ricerche su Wikipedia, o comunque online. Evitano la fatica di cercarsi i libri, di verificare quale sia più attendibile e quale meno. Si abituano alla strada più semplice, come l’acqua che scende sempre verso il basso. Io però ho l’impressione che la conoscenza sia una scalata verso l’alto. >> afferma ancora Siti. Non solo il sapere offerto dalla rete è irrimediabilmente scadente nella qualità, superficiale, dà a tutti, si, ma a tutti poco, usufruirne può portare a ben più gravi conseguenze. Scivolare in queste abitudini vuol dire mutilare se stessi; se veramente siamo anche ciò che sappiamo, ciò che la nostra mente possiede, acquisisce nel tempo e nello studio, allora rinunciarci vuol dire rinunciare inconsapevolmente anche ad una parte di noi, abbandonarsi alla precarietà del pensiero, all'acriticità e alla sterilità intellettuale ed emotiva.

Domenico Salerno

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