Wind days: l'inettitudine (dis)umana e l'ambientalismo da stadio


La popolazione tarantina ha preso, ormai da qualche anno, dimestichezza con un triste termine : Wind Day (letteralmente “giorno di vento”). Con questo si indicano quei giorni nei quali la velocità del vento supera determinati limiti e prende particolari direzioni. Nei giorni del Wind Day a Taranto il vento proviene dal settore NORD – OVEST e soffiando dall’area industriale, disperde in alcuni quartieri della città (Tamburi e Paolo VI) inquinanti di origine industriale, in particolare PM10 e benzo (a)pirene. 

Tale é il tasso di inquinamento da PM10 che si registra nei Wind Days da indurre il Dipartimento Prevenzione della ASL a consigliare di <<evitare attività fisiche intense e prolungate all´aperto e di rimanere il più possibile in ambienti chiusi, in particolare per i soggetti a rischio>>.  Infelice è l'espressione e il significato che se ne cela dietro. 

Come può il vento, che normalmente porta la vita, che trasporta polline e che per questo è esso stesso vita, che permette agli uccelli di volare per migliaia di chilometri, di navigare gli oceani, che è oggi una delle forme più pulite di energia, portare morte, non permettere a dei bambini innocenti di vivere una vita serena, di uscire di casa e di esercitare il loro diritto allo studio? 

 Ironia della sorte: si preferì il sito di Taranto per la costruzione dell’Ilva, rispetto ad altri, anche per la sua posizione e per la ventilazione della zona: il vento avrebbe spazzato via le polveri che si sarebbero disperse nell’atmosfera. Poi peró, proprio a seguito dello sviluppo industriale, il rione Tamburi (originariamente edificato al fine di far risiedere le famiglie dei dipendenti degli impianti ferroviari), si é ampliato e  si é continuato a costruire abitazioni proprio a ridosso dello stabilimento.  A questo si aggiunge la dolosa condotta di chi, nonostante lo sviluppo della tecnologia, non ha previsto gli strumenti e gli ammodernamenti adeguati per tutelare il diritto alla salute dei cittadini di Taranto e, ancora, l'inettitudine di chi non ha controllato, indagato su quello che stava succedendo, pur dovendolo fare e ha preferito distogliere lo sguardo. É evidente quindi, non il vento in se, ma le scelte umane non conciliate con il ciclo naturale del mondo, sono il vero problema.

Uomini, dopo la costruzione dello stabilimento, hanno messo dinnanzi alla salute di centinaia di migliaia di persone e alla tutela del territorio solo se stessi e l’aspirazione più becera che alcuni di essi possono avere: lo sterile accumulo di denaro. 

E’ comunque notizia di pochi giorni fa che i lavori per la copertura dei parchi minerari siano iniziati, insieme alle, forse comprensibili, polemiche sull’impatto paesaggistico che il progetto avrà sul territorio circostante; notizia pubblicata, purtroppo, insieme a tante altre che comunicavano i wind days nella città e la chiusura delle scuole nel quartiere Tamburi.

 É, ad ogni modo, doveroso evidenziare che il rilancio culturale, economico e turistico della città, non può passare dai modelli approssimativi di ambientalismo fino ad ora portati avanti. Abbiamo per anni assistito  ad una forma di ecologismo selettiva, priva di una visione d'insieme, che non riesce a guardare oltre ai singoli episodi dei danni fatti all'ambiente. Un ambientalismo tutto volto alla mera fase riparativa del danno, o peggio ancora, un ambientalismo da stadio, che ha portato al solo risultato di pubblicizzare una immagine estremamente tetra di Taranto. Non raccontare, per anni, la Taranto migliore, quella dei mari limpidi e della cultura antica, che affonda le radici nella grecità, non ha fatto altro che disincentivare il turismo e ha quasi spronato i tarantini a sventolare la "bandiera della non-appartenenza". L'ecologia deve essere molto di più, deve essere una precondizione morale con cui l'uomo si espone al mondo e con cui si scaglia contro l’imbarbarimento materialista. Deve essere armonia con il creato. Occorre per tutti noi porre l'ecologia nell'ambito etico prima che pratico e quindi vivere le iniziative ambientaliste come esecuzione naturale di un preciso obbligo morale che quotidianamente indirizzi i nostri comportamenti e le nostre azioni nel rispetto della natura e dell’uomo: queste sono le chiavi per ripartire. 
Paolo Vespa

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