LA LEGGENDA DI SCHIUMA
Sarà capitato
a qualche turista curioso di chiedersi cosa facciano tutto il giorno quelle
sirenette di pietra, che pazientemente si asciugano sugli scogli del lungomare
tarantino, coccolate dal caldo e dalle acque tiepide di questa città.
Cosa si dicano tra di loro, bisbigliando
oscuri segreti con le loro bocche semichiuse, cosa guardino con quegli occhi,
continuamente persi all’orizzonte, ma soprattutto cosa pensino, con quegli
imperscrutabili sguardi e quelle movenze statuarie, costituisce ancora oggi un mistero per cittadini e curiosi.
E i
bambini volentieri si affacciano da quelle inferiate, per porgere il loro
saluto e cercare di farsi notare. Ma le immobili sirene non si fanno turbare e
con un impercettibile sorriso rispondono al piccolo ammiratore. Ma in tempi
antichi quelle sirene non erano così diffidenti. Volentieri si intrattenevano
con i pescatori tarantini, con i loro soavi canti e le loro dolci parole. E una
di queste era addirittura una donna terrestre.
Questa è
la storia di Schiuma. Schiuma era la moglie di un pescatore, il giovane Michele.
Ma la bellezza della donna non era passata inosservata e un giorno,
approfittando dell’assenza del marito a pesca, un ricco signore decise di
sedurre la ragazza. A causa delle lusinghe e dell’assenza del marito, la donna
cedette. Ma la vergogna era troppo forte, e al ritorno del marito, Schiuma
confessò il misfatto. Il marito allora, tradito e offeso, in un momento di
follia portò la donna sulla barca e, allontanatosi abbastanza, la gettò in
mare. Ma la donna venne salvata dalle sirene, attirate dalle sue strazianti
grida.
Un giorno
le sirene catturarono Michele e lo imprigionarono nel loro palazzo sotterraneo.
Schiuma allora lo aiutò a scappare e Michele, mosso da compassione, capì la
follia del suo gesto e decise di rivolgersi a una fata per far ritornare da lui
Schiuma.
Allora la fata gli disse che l’unico modo
sarebbe stato prendere il più bel fiore del palazzo delle sirene, che le era stato
rubato . Il giovane, per riuscire nel suo intento, affidò a Schiuma l’incarico
di prendere il fiore, mentre lui avrebbe distratto le altre sirene. La giovane
sirena, allora, disse che se avesse ridato alla fata il fiore, tutte le sirene
sarebbero morte, compresa lei. Il giovane rimase basito da queste parole, ma le
parole della fata continuavano a rassicurarlo: “Non morirai”, continuava a
ripetere alla dolce creatura.
Il giorno
dopo, il pescatore spese tutti i suoi averi per comprare gioielli e ,avvicinatosi
a sufficienza al castello delle sirene, li gettò in acqua. Le sirene, attratte
dal luccichio, si avventarono su di essi, e Schiuma prese il fiore senza alcun
disturbo. Ma una volta ridato alla fata, questa tramutò le sirene in statue di
pietra e la ragazza in schiuma marina. Inorridito dalla fata e affranto dalla perdita, Michele non si diede per vinto, e continuò
a chiamare la ragazza in lungo e in largo, senza però trovarla. Dopo molti
giorni ritornò a casa. Un anno dopo, Michele si recò sulle rive del mare. Ogni
giorno si era recato su quelle rive e ogni giorno la chiamava ad alta voce. E
la ragazza, oramai diventata schiuma, si trascinava fino a riva per rivedere
l’amato e lambirlo con le sue morbide acque.
Domenico
D’Onghia
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