MADE IN EXITALY: l’Italia che perde pezzi





Le società “italiane” quotate in Borsa sono per il 50,2% in mano ad azionisti stranieri. Questo è quanto emerge dall’ultima analisi del Centro studi Unimpresa sui dati di Bankitalia. Nel 2012 era il 36,4%.



 La “colonizzazione” del made in Italy ha avuto sin dal principio una duplice interpretazione;  infatti, se da una parte il forte interesse di investitori era visto come  sinonimo di forte attrattiva del nostro “saper fare”, dall’altra significava perdita di italianità, trasformando progressivamente il made in Italy in made in World.
Addirittura la stessa Borsa italiana (N.B.  società che gestisce il mercato azionario italiano) non è da intendersi realmente come tale.
Questo perché, nel giugno del 2007, la Borsa di Londra ha acquistato la Borsa italiana, portando alla nascita della holding London Stock Exchange Group (LSEG) , che stando alle ultime notizie si avvia, a sua volta, alla fusione con Deutsche Borse.

L’Italia vede scomparire i pilastri della propria economia, tra vendite e svendite, fusioni e delocalizzazioni dal sapore di un addio e di arrivo verso mercati considerati più “felici”.

È proprio degli ultimi giorni la notizia della fusione tra l’occhialeria Luxottica e la francese Essilor, specializzata in lenti.
La nuova azienda vedrà l’italiano Leonardo Del Vecchio come maggior azionista (con il 30%), il quale avrà ruolo di presidente esecutivo e amministratore delegato.
Anche in questo caso sarà l’Italia a perdere, perché il titolo sparirà dal listino di Milano venendo quotato solo a Parigi, un caso che per certi versi ricorda quello Fiat.

Sempre recente è il caso della controversa scalata della francese Vivendi ai danni di Mediaset.
Vivendi aveva sottoscritto un accordo di compravendita vincolante lo scorso aprile per Premium, la pay-tv del Biscione.
A luglio, il gruppo guidato da Bollorè non rispettando il contratto ha provocato una perdita di quotazione del titolo Mediaset in borsa.
La media company francese ha iniziato l’assalto il 12 dicembre con un massiccio acquisto di titoli del gruppo di Cologno Monzese passando nel giro di pochi giorni dal 3 al 30%, soglia oltre la quale scatta l’Opa obbligatoria.
L’A.D. di Mediaset, Piersilvio Berlusconi ha affermato che dalla vicenda se ne uscirà con vie legali.

Le società che ormai di italiano hanno soltanto l’insegna, ma che sono a tutti gli effetti straniere, comportano una considerevole riduzione di entrate nel nostro paese, oltre che di prestigio economico.
Bisogna rilevare che non solo si hanno degli effetti negativi sul PIL, ma molto spesso chi acquista lo fa con lo scopo di eliminare un concorrente (ridimensionandolo e delecalizzando la produzione) o per disporre di un canale distributivo.

Storie di pezzi d’Italia che se ne vanno spontaneamente o che vengono “divorati” dai più forti. Ma questi più forti sono mai italiani e gli altri paesi cosa offrono in più rispetto la penisola tricolore?

La risposta è semplice: cioè che manca all’Italia è una politica industriale capace di proteggere e favorire lo sviluppo delle grandi società tricolore.
Queste viaggiano sole e dannaggiate, da una forte pressione fiscale e da una mancanza d’investimenti , contro l’avvento delle grandi multinazionali, capaci di poter contare su un maggior appoggio nazionale e su costi  di gran lunga più competitivi.

Bisogna dire che, anche se in misura inferiore, esiste un’Italia che compra, dalla quale prendere esempio, come la Campari che nel 2016 ha rilevato Grand Marnier, ma questo caso non è certamente isolato .

La conclusione è che l’Italia ha tantissime potenzialità, per poter giocare il proprio ruolo nella grande partita della globablizzazione, il know-how del made in Italy è unico ed inimitabile, è tradizione e motivo di orgoglio per l’intero paese, non facciamolo diventare un semplice ricordo malinconico.


Vittorio Messinese

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